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Novità
Ultimo aggiornamento
27-Dic-2017 7:33 PM
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T.A.R. Puglia Sentenza
n. 871 del 15 aprile 2009
L’inquinamento
acustico notturno nei centri abitati
di Gianluca ROZZA
Questa interessante sentenza
del T.A.R. della Puglia pone l’attenzione sull’ormai
diffusissimo problema dell’inquinamento acustico che
colpisce i centri abitati anche nelle ore notturne. Accertato
un potenziale pericolo per la salute, è legittimo
il provvedimento con il quale si inibisce a ristoranti e
locali notturni l’esercizio dell’attività.
La controversia ha coinvolto
l’inquilino di un appartamento situato al primo piano
di un condominio e i gestori di due ristoranti che si trovavano
al piano terreno, immediatamente sotto la sua abitazione.
L’inquilino lamentava rumori provenienti dal piano
sottostante, causati sia dalle voci degli avventori dei
due esercizi, sia dalle cucine degli stessi.
Essendo impossibile la risoluzione del problema in via amichevole,
a causa della scarsa collaborazione dei gestori dei locali
in questione, il condomino decideva di depositare una richiesta
di accertamento presso l’ARPA, la quale, nelle successive
settimane, effettuava le misurazioni del caso.
Accertato il superamento dei limiti delle emissioni sonore,
veniva emessa ordinanza con la quale il Sindaco disponeva
di predisporre ed attuare, entro 30 giorni, un piano di
bonifica redatto da un tecnico competente in acustica ambientale.
Spirato il termine dei trenta giorni, senza che i gestori
dei locali avessero attuato gli interventi prescritti loro
con l’ordinanza, il Sindaco emetteva una seconda ordinanza
nella quale si inibiva l’attività dei due ristoranti
in orario notturno, ossia dalle 22.00 alle 6.00, fino a
che non si fosse provveduto alla bonifica acustica.
L’intervento del T.A.R.
si è avuto nel momento in cui il Sindaco, con una
terza ordinanza, revocava il precedente provvedimento che
inibiva ai ristoratori l’esercizio dell’attività
in determinate ore. Il condomino ricorreva al T.A.R. poiché
i problemi di inquinamento acustico non erano stati risolti.
Nel giudizio si costituivano anche le altre parti.
Il Tribunale giudicava fondato e accoglieva il ricorso,
nonostante le emissioni sonore riconducibili ai due locali
superassero i limiti di legge di solamente 3dBA.
Nelle motivazioni della sentenza il Collegio giudicante
si sofferma sui poteri del Sindaco in materia di emissioni
sonore, giudicando legittimo il suo intervento “allorché
il disagio provocato agli abitanti di una residenza raggiunge
un grado di intollerabilità, oggettivamente accertato,
tale da assurgere a una forma di vero e proprio inquinamento
acustico con danno alla salute delle persone.” In
tale ipotesi, continuano le motivazioni, “deve riconoscersi
al Sindaco il potere di intervenire con i mezzi eccezionali
che l'ordinamento pone a sua disposizione che lo facoltizza
a modificare gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici
esercizi e dei servizi pubblici per fronteggiare l'inquinamento
acustico.”
Interessante è anche la potenziale pericolosità
per la salute umana che in questa sentenza viene data all’inquinamento
acustico.
Essendo stato accertato che, nel caso concreto, non era
stato messo in atto nessun intervento volto a ridurre le
emissioni sonore, che continuavano a risultare oltre i limiti
di legge, il Collegio giudicante osserva che “appare
sussistere un potenziale pericolo per la salute per parte
ricorrente” e che “il "bene salute"
deve costituire oggetto di tutela in via assolutamente primaria
anche in applicazione di un ragionevole principio di precauzione”.
Di conseguenza l’ordinanza impugnata è stata
giudicata illegittima e il ricorso è stato accolto.
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Chirurgia estetica,
obbligo di informazioni complete sui farmaci
L’obbligo di informare il paziente
sui rischi dei farmaci si fa più stringente in caso
di chirurgia estetica: infatti, il medico non potrà
limitarsi a fare il nome del prodotto da somministrate ma
dovrà elencarne tutti i possibili effetti perché
si tratta “di trattamenti non necessari se non superflui”.
Lo ha deciso la Corte di cassazione che, con la sentenza
n. 32423 del 1 agosto 2008, ha respinto il ricorso
di un camice bianco. In particolare, si legge in sentenza,
“il consenso informato non può ovviamente esaurirsi
nella comunicazione del nome del prodotto che verrà
somministrato o di generiche informazioni ma deve investire
– soprattutto nel caso di trattamenti che non sono
diretti a contrastare una patologia ma a finalità
esclusivamente estetiche che si esauriscono dunque in trattamenti
non necessari se non superflui – gli eventuali effetti
negativi della somministrazione in modo che sia consentito
al paziente di valutare congruamente il rapporto costi-benefici
del trattamento e di mettere comunque in conto l’esistenza
e la gravità delle conseguenze ipotizzabili”.
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“LA RISARCIBILITA’
DEL DANNO NON PATRIMONIALE CAUSATO DALL’ATTIVAZIONE
DI UN SERVIZIO DI TELEFONIA NON RICHIESTO”
di Gianluca Rozza
La sentenza del Giudice di Pace di Catanzaro, del 25 luglio
2007, appare davvero interessante, in quanto riconosce il
risarcimento del danno esistenziale a un cliente di una
società di telefonia, a seguito del forte stress
subìto per l’attivazione di un servizio non
richiesto.
Invero, al primo impatto la vicenda non
colpisce per la sua peculiarità, visto il sempre
maggior numero di casi in cui gli utenti delle compagnie
telefoniche si vedono attivare servizi a pagamento non richiesti.
Infatti, il caso affrontato dal giudice
calabrese, riguarda il cliente di una compagnia telefonica
che si vedeva attivare un servizio di preselezione automatica
da parte di un gestore diverso da quello con il quale aveva
stipulato il contratto per l’attivazione dell’utenza
telefonica, con conseguente addebito dei costi per l’utilizzo
dello stesso, senza che detto servizio fosse mai stato richiesto,
né, tanto meno, fosse stata fatta alcuna comunicazione
da parte della società fornitrice, anche semplicemente
a titolo di informativa.
La cosa interessante è che, non
solo, l’utente si ritrovava ad utilizzare un servizio
mai richiesto, ma detto servizio (e qui la cosa si fa ancor
più complicata) era già stato chiesto e attivato
da parte della compagnia telefonica con la quale era stato
stipulato il contratto.
In pratica, la società convenuta,
oltre ad attivare un servizio per il quale non era stata
fatta nessuna domanda, sostituiva il servizio di preselezione
già utilizzato dall’utente con il suo gestore
con il più costoso e identico servizio di propria
fornitura.
Il Giudice di Pace di Catanzaro con questa
sentenza compie un passo davvero importante nei confronti
dei soprusi - poiché di questo si deve parlare -
subìti dai consumatori, perché accogliendo
la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale causato
dal forte stress conseguente all’attivazione unilaterale
di un servizio non voluto, ripaga l’utente delle frustrazioni
subìte durante l’iter, complesso e infinito,
per la disattivazione dello stesso e per il rimborso dei
costi sostenuti e fornisce un precedente utile e, pertanto,
un valido strumento per i consumatori, al fine di disincentivare
le compagnie telefoniche ad approfittare della loro posizione
contrattuale per imputare ai clienti costi per servizi non
richiesti.
Nel caso di specie, il risarcimento del
danno esistenziale in forza della violazione, da parte della
compagnia telefonica, delle norme in materia di buona fede
e correttezza che devono sussistere sia nella fase della
trattativa che in quella di conclusione e di svolgimento
di un rapporto contrattuale, è del tutto simbolico,
tuttavia costituisce, come predetto, un piccolo passo per
il consumatore, un grande passo per la giurisprudenza.
Sentenza
del Giudice di Pace di Catanzaro, Sentenza del 25 luglio
2007, g.u. Lupinacci
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Scheda
carburante
La
mancanza della firma del gestore dell'impianto di distribuzione
sulla schede di carburante impedisce la detrazione dell'IVA
relativa all'acquisto di carburante per autotrazione. La previsione
(art. 3, D.P.R. n. 444/1997) dell'apposizione della firma
sulla scheda da parte dell'esercente l'impianto di distribuzione
- avendo una funzione, definita dallo stesso legislatore,
di "convalida" del rifornimento - costituisce elemento
essenziale, in mancanza del quale la scheda non può
assolvere alla finalità prevista dalla legge.
(sentenza della Corte di Cassazione del 19.10.2007,
n. 21941)
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L'indigente
che occupa una casa popolare non commette reato
Chi
versa in uno stato di grave indigenza non commette reato se
occupa abusivamente una casa popolare. Opera, in questi casi,
la scriminante dello stato di necessità.
Lo
ha stabilito la seconda sezione penale della Corte
di Cassazione con sentenza n.35580 del 26 settembre 2007.
Il mobbing
non è reato
Il mobbing non è reato ma un illecito civile. Infatti
il lavoratore può soltanto chiedere il risarcimento
del danno o, al massimo, denunciare il capo per maltrattamenti.
Lo ha stabilito la quinta sezione penale della Corte di cassazione
che, con la sentenza n. 33624 del 29 agosto 2007,
ha respinto il ricorso della Procura di Santa Maria Capua
Vetere, presentato contro la sentenza di non luogo a procedere
emessa dal Gup nei confronti di un preside, denunciato da
una professoressa per comportamenti mobbizzanti.
Assenza
dal lavoro per malattia sempre da certificare
Chi manca per un solo giorno dal posto di lavoro deve portare
il certificato medico se il datore glielo chiede. Ciò
anche se la prassi aziendale non prevede nessun obbligo in
questo senso. Altrimenti può essergli decurtata la
paga.
Sentenza della corte di Cassazione n. 17898 del 22
agosto 2007.
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APPALTI
e COOPERATIVE EDILIZIE
Cooperative
edilizie responsabili dei lavori appaltati .
Le cooperative edilizie sono responsabili dei lavori che hanno
appaltato a una ditta di
costruzione se hanno partecipato alla realizzazione del progetto.
Tale responsabilità
sussiste anche se manca il fine di lucro nell’assegnazione
delle case ai soci.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione
che, con la sentenza n. 16202 del 23 luglio
2007, ha accolto il ricorso di un condominio.
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ASSICURAZIONI
Indennizzo
diretto:
pubblicato in Gazzetta il decreto D. P. R. 18 luglio 2006,
n. 254 (G.U. n. 199 del 28-8-2006) Regolamento recante disciplina
del risarcimento diretto dei danni derivanti dalla circolazione
stradale, a norma dell'articolo 150 del decreto legislativo
7 settembre 2005, n. 209 - Codice delle assicurazioni private.
Entra in vigore il 1 gennaio 2007.
Si applica ai sinistri verificatisi a partire d al
1° febbraio 2007.
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LAVORO
Un
dipendente che reagisce in maniera violenta in seguito alle
continue provocazioni dei colleghi non va licenziato.
Lo ha stabilito la sezione lavoro della Corte di Cassazione
con la sentenza n.17956. Secondo la Corte la reazione era
"conseguenza del rancore che era venuto accumulandosi
a causa del continuo e irritante scherno".
Corte
di Cassazione sez. Lavoro sentenza del 2.8.2006 n.17956
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La
Cassazione riconferma che il danno patrimoniale da uccisione
di congiunto può essere liquidato secondo il criterio
equitativo ex artt. 1226 e 2056 c.c.
"Il
danno patrimoniale da uccisione di congiunto, quale tipico
danno-conseguenza che si proietta nel futuro, privo (come
il danno morale ed il danno biologico) del carattere della
patrimonialità, ben può, in ragione nella natura
di tale danno e nella funzione di riparazione assolta mediante
la dazione di una somma di denaro nel caso non reintegratrice
di una diminuzione patrimoniale bensì compensativa
di un pregiudizio non economico (v. Cass., 31/05/2003, n.
8827), essere - come nel caso - liquidato secondo il criterio
equitativo ex artt. 1226 e 2056 c.c. (v. Cass., Sez. Un.,
24/03/2006, n. 6572), in considerazione dell'intensità
del vincolo familiare, della situazione di convivenza e di
ogni ulteriore utile circostanza, quali la consistenza più
o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l'età
della vittima e dei singoli superstiti, le esigenze di questi
ultimi, rimaste definitivamente compromesse (v. Cass., 31/05/2003,
n. 8828; Cass., 07/11/2003, n. 16716; Cass., 29/09/2004, n.
19564; Cass., 15/07/2005, n. 15022; Cass., 20/10/2005, n.
20324)."
Corte
di Cassazione 3 sez. civile sent. 12 giugno 2006, n.13546 |
Disposizioni
in materia di conseguenze derivanti da incidenti stradali
Art. 1.
(Modifiche all’articolo
222 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285)
1. Il comma 2
dell’articolo 222 del decreto legislativo 30 aprile
1992, n. 285, è sostituito dai seguenti:
«2. Quando
dal fatto derivi una lesione personale colposa la sospensione
della patente è da quindici giorni a tre mesi. Quando
dal fatto derivi una lesione personale colposa grave o gravissima
la sospensione della patente è fino a due anni. Nel
caso di omicidio colposo la sospensione è fino a quattro
anni.
2-bis. La sanzione
amministrativa accessoria della sospensione della patente
fino a quattro anni è diminuita fino a un terzo nel
caso di applicazione della pena ai sensi degli articoli 444
e seguenti del codice di procedura penale».
Art. 2.
(Elevazione delle
pene edittali per i reati di omicidio colposo e di lesioni
colpose gravi e gravissime)
1. Il secondo
comma dell’articolo 589 del codice penale è sostituito
dal seguente:
«Se il fatto
è commesso con violazione delle norme sulla disciplina
della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione
degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione
da due a cinque anni».
2. Il terzo comma dell’articolo 590 del codice penale
è sostituito dal seguente:
«Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con
violazione delle norme sulla disciplina della circolazione
stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul
lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione
da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000
e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione
da uno a tre anni».
Art. 3.
(Disposizioni processuali)
1. Alle cause
relative al risarcimento dei danni per morte o lesioni, conseguenti
ad incidenti stradali, si applicano le norme processuali di
cui al libro II, titolo IV, capo I del codice di procedura
civile.
Art. 4.
(Abbreviazione
dei termini per le indagini preliminari e per la fissazione
della
data del giudizio)
1. Dopo il comma
2-bis dell’articolo 406 del codice di procedura penale
è inserito il seguente:
«2-ter.
Qualora si proceda per i reati di cui agli articoli 589, secondo
comma, e 590, terzo comma, del codice penale, la proroga di
cui al comma 1 può essere concessa per non più
di una volta».
2. All’articolo 416 del codice di procedura penale è
aggiunto, in fine, il seguente comma:
«2-bis. Qualora si proceda per il reato di cui all’articolo
589, secondo comma, del codice penale, la richiesta di rinvio
a giudizio del pubblico ministero deve essere depositata entro
trenta giorni dalla chiusura delle indagini preliminari».
3. Dopo il comma 3 dell’articolo 429 del codice di procedura
penale è inserito il seguente:
«3-bis. Qualora si proceda per il reato di cui all’articolo
589, secondo comma, del codice penale, il termine di cui al
comma 3 non può essere superiore a sessanta giorni».
4. Dopo il comma 1 dell’articolo 552 del codice di procedura
penale sono inseriti i seguenti:
«1-bis. Qualora si proceda per taluni dei reati previsti
dall’articolo 590, terzo comma, del codice penale, il
decreto di citazione a giudizio deve essere emesso entro trenta
giorni dalla chiusura delle indagini preliminari.
1-ter. Qualora
si proceda per taluni dei reati previsti dall’articolo
590, terzo comma, del codice penale, la data di comparizione
di cui al comma 1, lettera d), è fissata non oltre
novanta giorni dalla emissione del decreto».
Art. 5.
(Liquidazione anticipata
di somme in caso di incidenti stradali)
1. All’articolo
24 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, è aggiunto,
in fine, il seguente comma:
«Qualora
gli aventi diritto non si trovino nello stato di bisogno di
cui al primo comma, il giudice civile o penale, su richiesta
del danneggiato, sentite le parti, qualora da un sommario
accertamento risultino gravi elementi di responsabilità
a carico del conducente, con ordinanza immediatamente esecutiva
provvede all’assegnazione, a carico di una o più
delle parti civilmente responsabili, di una provvisionale
pari ad una percentuale variabile tra il 30 e il 50 per cento
della presumibile entità del risarcimento che sarà
liquidato con sentenza».
Art. 6.
(Obblighi del condannato)
1. Dopo l’articolo
224 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive
modificazioni, è inserito il seguente:
«Art. 224-bis.
- (Obblighi del condannato). – 1. Nel pronunciare sentenza
di condanna alla pena della reclusione per un delitto colposo
commesso con violazione delle norme del presente codice, il
giudice può disporre altresì la sanzione amministrativa
accessoria del lavoro di pubblica utilità consistente
nella prestazione di attività non retribuita in favore
della collettività da svolgere presso lo Stato, le
regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni
di assistenza sociale e di volontariato.
2. Il lavoro di
pubblica utilità non può essere inferiore a
un mese nè superiore a sei mesi. In caso di recidiva,
ai sensi dell’articolo 99, secondo comma, del codice
penale, il lavoro di pubblica utilità non può
essere inferiore a tre mesi.
3. Le modalità di svolgimento del lavoro di pubblica
utilità sono determinate dal Ministro della giustizia
con proprio decreto d’intesa con la Conferenza unificata
di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto
1997, n. 281.
4. L’attività è svolta nell’ambito
della provincia in cui risiede il condannato e comporta la
prestazione di non più di sei ore di lavoro settimanale
da svolgere con modalità e tempi che non pregiudichino
le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute
del condannato. Tuttavia, se il condannato lo richiede, il
giudice può ammetterlo a svolgere il lavoro di pubblica
utilità per un tempo superiore alle sei ore settimanali.
5. La durata giornaliera della prestazione non può
comunque oltrepassare le otto ore.
6. In caso di violazione degli obblighi di cui al presente
articolo si applicano le disposizioni di cui all’articolo
56 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274».
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CODICE
DELLA STRADA
Il Dlgs 2.2.2006 n.40 (pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale n.38 del 15.2.2006) introduce una novità:
le sentenze del giudice di pace in materia
di contravvenzioni stradali o infrazioni amministrative sono
appellabili in tribunale.
Dal 2 marzo 2006 non sarà
più possibile ricorrere direttamente in cassazione
contro le sentenze dei giudici di pace in materia di contravvenzioni
stradali o infrazioni amministrative. |
Modifiche
al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità
delle sentenze di proscioglimento*
(Testo approvato definitivamente il 14 febbraio
2006) |
Art. 1.
1. L'articolo 593 del codice di procedura penale è
sostituito dal seguente:
«Art. 593. (Casi di appello). - 1. Salvo quanto previsto
dagli articoli 443, comma 3, 448, comma 2, 579 e 680, il pubblico
ministero e l'imputato possono appellare contro le sentenze
di condanna.
2. L'imputato e il pubblico ministero possono appellare contro
le sentenze di proscioglimento nelle ipotesi di cui all'articolo
603, comma 2, se la nuova prova è decisiva. Qualora
il giudice, in via preliminare, non disponga la rinnovazione
dell'istruttoria dibattimentale dichiara con ordinanza l'inammissibilità
dell'appello. Entro quarantacinque giorni dalla notifica del
provvedimento le parti possono proporre ricorso per cassazione
anche contro la sentenza di primo grado.
3. Sono inappellabili le sentenze di condanna per le quali
è stata applicata la sola pena dell'ammenda».
Art. 2.
1. All'articolo 443 del codice di procedura penale, al comma
1, le parole: «, quando l'appello tende ad ottenere
una diversa formula» sono soppresse.
Art. 3.
1. All'articolo 405 del codice di procedura penale, dopo il
comma 1, è inserito il seguente:
«1-bis. Il pubblico ministero, al termine delle indagini,
formula richiesta di
archiviazione quando la Corte di cassazione si è pronunciata
in ordine alla insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza,
ai sensi dell'articolo 273, e non sono stati acquisiti, successivamente,
ulteriori elementi a carico della persona sottoposta alle
indagini».
Art. 4.
1. L'articolo 428 del codice di procedura penale è
sostituito dal seguente:
«Art. 428. - (Impugnazione della sentenza di non luogo
a procedere). - 1. Contro la sentenza di non luogo a procedere
possono proporre ricorso per cassazione:
a) il procuratore della Repubblica e il procuratore generale;
b) l'imputato, salvo che con la sentenza sia stato dichiarato
che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso.
2. La persona offesa può proporre ricorso per cassazione
nei soli casi di nullità previsti dall'articolo 419,
comma 7. La persona offesa costituita parte civile può
proporre ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 606.
3. Sull'impugnazione decide la Corte di cassazione in camera
di consiglio con le forme previste dall'articolo 127».
Art. 5.
1. All'articolo 533 del codice di procedura penale, il comma
1 è sostituito dal seguente:
«1. Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato
risulta colpevole del reato contestatogli al di là
di ogni ragionevole dubbio. Con la sentenza il giudice applica
la pena e le eventuali misure di sicurezza».
Art. 6.
1. Al comma 1 dell'articolo 576 del codice di procedura penale,
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo periodo, le parole: «, con il mezzo previsto
per il pubblico ministero,» sono soppresse;
b) al secondo periodo, le parole: «Con lo stesso mezzo
e negli stessi casi può» sono sostituite dalle
seguenti: «La parte civile può altresì».
Art. 7.
1. L'articolo 580 del codice di procedura penale è
sostituito dal seguente:
«Art. 580. - (Conversione del ricorso in appello). -
1. Quando contro la stessa sentenza sono proposti mezzi di
impugnazione diversi, nel caso in cui sussista la connessione
di cui all'articolo 12, il ricorso per cassazione si converte
nell'appello».
Art. 8.
1. Al comma 1 dell'articolo 606 del codice di procedura penale
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) la lettera d) è sostituita dalla seguente:
«d) mancata assunzione di una prova decisiva, quando
la parte ne ha fatto richiesta anche nel corso dell'istruzione
dibattimentale limitatamente ai casi previsti dall'articolo
495, comma 2.»;
b) la lettera e) è sostituita dalla seguente:
«e) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità
della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento
impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente
indicati nei motivi di gravame».
Art. 9.
1. L'articolo 577 del codice di procedura penale è
abrogato.
2. All'articolo 36, comma l, del decreto legislativo 28 agosto
2000, n. 274, le parole: «e contro le sentenze di proscioglimento
per reati puniti con pena alternativa» sono soppresse.
Art. 10.
1. La presente legge si applica ai procedimenti in corso alla
data di entrata in vigore della medesima.
2. L'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento
dall'imputato o dal pubblico ministero prima della entrata
in vigore della presente legge viene dichiarato inammissibile
con ordinanza non impugnabile.
3. Entro quarantacinque giorni dalla notifica del provvedimento
di inammissibilità di cui al comma 2 può essere
proposto ricorso in Cassazione contro le sentenze di primo
grado.
4. La disposizione di cui al comma 2 si applica anche nel
caso in cui sia annullata, su punti diversi dalla pena o dalla
misura di sicurezza, una sentenza di condanna di una corte
di assise di appello o di una corte di appello che abbia riformato
una sentenza di assoluzione.
5. Nei limiti delle modificazioni apportate dall'articolo
8 della presente legge possono essere presentati i motivi
di cui all'articolo 585, comma 4, del codice di procedura
penale entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore
della presente legge.
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* Bozza provvisoria. Testo in attesa di essere pubblicato
in Gazzetta
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Patto
di famiglia
Approvato
in via definitiva, dalla commissione Giustizia del Senato
in sede deliberante, il disegno di legge riguardante "Modifiche
al codice civile in materia di patto di famiglia".
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Modifiche al codice civile
in materia di patto di famiglia
Art. 1.
1. Al primo periodo dell’articolo
458 del codice civile sono premesse le seguenti parole: «Fatto
salvo quanto disposto dagli articoli 768-bis e seguenti,».
Art. 2.
1. Al libro II, titolo IV, del codice civile,
dopo l’articolo 768 è aggiunto il seguente capo:
«Capo V-bis.
DEL PATTO DI FAMIGLIA
Art. 768-bis. - (Nozione). – È
patto di famiglia il contratto con cui, compatibilmente con
le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto
delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore
trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare
di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte,
le proprie quote, ad uno o più discendenti.
Art. 768-ter. - (Forma). – A pena
di nullità il contratto deve essere concluso per atto
pubblico.
Art. 768-quater. - (Partecipazione). – Al contratto
devono partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero
legittimari ove in quel momento si aprisse la successione
nel patrimonio dell’imprenditore.
Gli assegnatari dell’azienda o delle
partecipazioni societarie devono liquidare gli altri partecipanti
al contratto, ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte,
con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle
quote previste dagli articoli 536 e seguenti; i contraenti
possono convenire che la liquidazione, in tutto o in parte,
avvenga in natura.
I beni assegnati con lo stesso contratto agli altri partecipanti
non assegnatari dell’azienda, secondo il valore attribuito
in contratto, sono imputati alle quote di legittima loro spettanti;
l’assegnazione può essere disposta anche con
successivo contratto che sia espressamente dichiarato collegato
al primo e purchè vi intervengano i medesimi soggetti
che hanno partecipato al primo contratto o coloro che li abbiano
sostituiti.
Quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione
o a riduzione.
Art. 768-quinquies. - (Vizi del consenso).
– Il patto può essere impugnato dai partecipanti
ai sensi degli articoli 1427 e seguenti.
L’azione si prescrive nel termine
di un anno.
Art. 768-sexies. - (Rapporti con i terzi).
– All’apertura della successione dell’imprenditore,
il coniuge e gli altri legittimari che non abbiano partecipato
al contratto possono chiedere ai beneficiari del contratto
stesso il pagamento della somma prevista dal secondo comma
dell’articolo 768-quater, aumentata degli interessi
legali.
L’inosservanza delle disposizioni
del primo comma costituisce motivo di impugnazione ai sensi
dell’articolo 768-quinquies.
Art. 768-septies. - (Scioglimento). –
Il contratto può essere sciolto o modificato dalle
medesime persone che hanno concluso il patto di famiglia nei
modi seguenti:
1) mediante diverso contratto, con le medesime caratteristiche
e i medesimi presupposti di cui al presente capo;
2) mediante recesso, se espressamente previsto
nel contratto stesso e, necessariamente, attraverso dichiarazione
agli altri contraenti certificata da un notaio.
Art. 768-octies. - (Controversie). –
Le controversie derivanti dalle disposizioni di cui al presente
capo sono devolute preliminarmente a uno degli organismi di
conciliazione previsti dall’articolo 38 del decreto
legislativo 17 gennaio 2003, n. 5».
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Famiglia
Disposizioni in materia
di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei
figli |
Testo approvato (bozza provvisoria)
Art. 1.
(Modifiche al codice civile)
1. L’articolo 155 del codice civile è sostituito
dal seguente:
«Art. 155. - (Provvedimenti riguardo ai
figli) – Anche in caso di separazione personale dei genitori
il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato
e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione
e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi
con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Per realizzare la finalità indicata dal
primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei
coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo
riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Valuta
prioritariamente la possibilità che i figli minori restino
affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi
i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della
loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la
misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento,
alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli.
Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli
accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento
relativo alla prole.
La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i
genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative
all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte
di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione
naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la
decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni
su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può
stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente.
Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno
dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale
al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione
di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità,
da determinare considerando:
1) le attuali esigenze del figlio;
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza
di convivenza con entrambi i genitori;
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
4) le risorse economiche di entrambi i genitori;
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti
da ciascun genitore.
L’assegno è automaticamente adeguato
agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti
o dal giudice.
Ove le informazioni di carattere economico fornite
dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice
dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui
beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti
diversi».
2. Dopo l’articolo 155 del codice civile,
come sostituito dal comma 1 del presente articolo, sono inseriti
i seguenti:
«Art. 155-bis. - (Affidamento a un solo genitore e opposizione
all’affidamento condiviso) – Il giudice può disporre
l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga
con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro
sia contrario all’interesse del minore.
Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi
momento, chiedere l’affidamento esclusivo quando sussistono
le condizioni indicate al primo comma. Il giudice, se accoglie la
domanda, dispone l’affidamento esclusivo al genitore istante,
facendo salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti
dal primo comma dell’articolo 155. Se la domanda risulta manifestamente
infondata, il giudice può considerare il comportamento del
genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti
da adottare nell’interesse dei figli, rimanendo ferma l’applicazione
dell’articolo 96 del codice di procedura civile.
Art. 155-ter. - (Revisione delle disposizioni
concernenti l’affidamento dei figli) – I genitori hanno
diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni
concernenti l’affidamento dei figli, l’attribuzione
dell’esercizio della potestà su di essi e delle eventuali
disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo.
Art. 155-quater. – (Assegnazione della casa familiare e prescrizioni
in tema di residenza) – Il godimento della casa familiare
è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse
dei figli. Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella
regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale
titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare
viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di
abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o
contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello
di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo
2643.
Nel caso in cui uno dei coniugi cambi la residenza
o il domicilio, l’altro coniuge può chiedere, se il
mutamento interferisce con le modalità dell’affidamento,
la ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti adottati, ivi
compresi quelli economici.
Art. 155-quinquies. - (Disposizioni in favore
dei figli maggiorenni) – Il giudice, valutate le circostanze,
può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti
economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno,
salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente
all’avente diritto.
Ai figli maggiorenni portatori di handicap grave
ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio
1992, n. 104, si applicano integralmente le disposizioni previste
in favore dei figli minori.
Art. 155-sexies. - (Poteri del giudice e ascolto
del minore) – Prima dell’emanazione, anche in via provvisoria,
dei provvedimenti di cui all’articolo 155, il giudice può
assumere, ad istanza di parte o d’ufficio, mezzi di prova.
Il giudice dispone, inoltre, l’audizione del figlio minore
che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore
ove capace di discernimento.
Qualora ne ravvisi l’opportunità,
il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può
rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo
155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino
una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento
alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli».
Art. 2.
(Modifiche al codice di procedura civile)
1. Dopo il terzo comma dell’articolo 708
del codice di procedura civile, è aggiunto il seguente:
«Contro i provvedimenti di cui al terzo
comma si può proporre reclamo con ricorso alla corte d’appello
che si pronuncia in camera di consiglio. Il reclamo deve essere
proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione
del provvedimento».
2. Dopo l’articolo 709-bis del codice di procedura civile,
è inserito il seguente:
«Art. 709-ter. - (Soluzione delle controversie e provvedimenti
in caso di inadempienze o violazioni) – Per la soluzione delle
controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio
della potestà genitoriale o delle modalità dell’affidamento
è competente il giudice del procedimento in corso. Per i
procedimenti di cui all’articolo 710 è competente il
tribunale del luogo di residenza del minore.
A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti
e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze
o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino
il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento,
può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche
congiuntamente:
1) ammonire il genitore inadempiente;
2) disporre il risarcimento dei danni, a carico
di uno dei genitori, nei confronti del minore;
3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori,
nei confronti dell’altro;
4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione
amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo
di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende.
I provvedimenti assunti dal giudice del procedimento
sono impugnabili nei modi ordinari».
Art. 3.
(Disposizioni penali)
1. In caso di violazione degli obblighi di natura
economica si applica l’articolo 12-sexies della legge 1º
dicembre 1970, n. 898.
Art. 4.
(Disposizioni finali)
1. Nei casi in cui il decreto di omologa dei patti
di separazione consensuale, la sentenza di separazione giudiziale,
di scioglimento, di annullamento o di cessazione degli effetti civili
del matrimonio sia già stata emessa alla data di entrata
in vigore della presente legge, ciascuno dei genitori può
richiedere, nei modi previsti dall’articolo 710 del codice
di procedura civile o dall’articolo 9 della legge 1º
dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, l’applicazione
delle disposizioni della presente legge.
2. Le disposizioni della presente legge si applicano
anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili
o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti
relativi ai figli di genitori non coniugati.
Art. 5.
(Disposizione finanziaria)
1. Dall’attuazione della presente legge
non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza
pubblica.
La fine delle clausole vessatorie
Le clausole favorevoli al contraente battono quelle vessatorie,
nei contratti di assicurazione conclusi con la sottoscrizione di
moduli o formulari prestampati.
Quando in un contratto compaiono clausole dubbie, la prima regola
da applicare, secondo la sentenza n.19140/0205, è quella
dell’interpretazione contro l’autore della clausola
(articolo 1370, Codice civile):
La sentenza n.19140/2005 della Corte di
Cassazione recita: ”In tema di contratti conclusi mediante
moduli o formulari, la presenza nel modulo dell’approvazione
specifica di una clausola vessatoria, regolarmente sottoscritta,
e nel contempo di una clausola di richiamo dell’operatività
di condizioni particolari, indicate nel libretto accluso alla polizza
(contenente sia le condizioni denominate generali che quelle denominate
particolari), fra le quali ultime vi sia una clausola derogatoria
di esclusione dell’operatività della previsione della
clausola vessatoria compresa fra le condizioni generali, determina
una situazione di contrasto fra due clausole che dà luogo
ad una questione interpretativa che non può essere risolta
affermando che la volontà contrattuale effettiva delle parti
è stata quella di volere l’operatività della
clausola vessatoria e non quella derogatoria di esclusione della
sua operatività, per il fatto che la sua specifica approvazione
della prima evidenzia una maggiore attenzione del contraente debole
dell’atto di prestare il consenso, atteso che siffatto criterio
interpretativo non risponde ad alcuno dei principi dettati per l’interpretazione
dei contratti.".
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Sentenza
della Corte Costituzionale sull'infrazione stradale (patente a punti),
n. 27/2005 |
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Per
le nuove immatricolazioni non serve il notaio
Grazie
all’entrata in vigore della legge sulla competitività
e, secondo quanto afferma una circolare esplicativa dell’Aci,
per i veicoli nuovi che rientrano nella procedura prevista dal
cosiddetto sportello telematico dell’automobilista (Sta),
la dichiarazione di vendita notarile sottoscritta dal venditore,
può essere sostituita da una semplice domanda di registrazione
senza necessità di autentica della firma. Alla certificazione
notarile dovranno ricorrere per l'immatricolazione tutti gli
altri veicoli che non sono gestiti con il sistema informatico
Sta.
(Circolare
Aci n 6501/P-DSD 16.05.2005).
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NAUTICA
Il 15.9.2005 entra in vigore il nuovo Codice per i diportisti
Giovedì 15 settembre 2005 è entrato in vigore
il nuovo Codice del diporto (decreto
legislativo 171, 18 luglio 2005). Messo a punto dalla direzione
generale della Navigazione marittima e interna del ministero
delle Infrastrutture e dei trasporti, il nuovo Codice
unifica tutte le norme che si occupano del diporto nautico,
garantendo per la materia di ordine tecnico e specialistico
una flessibilità della normativa.
Tra le novità sono da ricordare la semplificazione dei
procedimenti di pubblicità, di iscrizione e di rilascio
delle targhe di prova e l’abolizione del certificato d’uso
del motore.
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Multe
autovelox valide senza foto
Le multe per la violazione dei limiti di velocità sono
valide anche nei casi in cui manchi la prova fotografica perché
lo strumento elettronico che rileva la velocità non la
produce.
È questo il principio posto dalla prima sezione civile
della Corte di Cassazione con la sentenza n.16563 del
5.8.2005.
La sentenza ha annullato, con rinvio, una pronuncia del giudice
di pace di Genova che aveva accolto l’opposizione avanzata
da un automobilista contro il verbale di accertamento della
violazione del limite di velocità privo, per inidoneità
dell’autovelox utilizzato, del riscontro fotografico,
giudicando nullo tale accertamento.
Per i giudici della Corte di Cassazione, invece, “le apparecchiature
debitamente omologate costituiscono fonti di prova per l’accertamento
dei limiti della velocità”.
I giudici della Corte di Cassazione ci ricordano anche che il
verbale con cui viene rilevata l’inflazione fa fede fino
a querela di falso; il che costituisce un privilegio dell’atto
pubblico.
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Scheda
carburante
La mancanza
della firma del gestore dell'impianto di distribuzione sulla schede
di carburante impedisce la detrazione dell'IVA relativa all'acquisto
di carburante per autotrazione. La previsione (art. 3, D.P.R. n.
444/1997) dell'apposizione della firma sulla scheda da parte dell'esercente
l'impianto di distribuzione - avendo una funzione, definita dallo
stesso legislatore, di "convalida" del rifornimento -
costituisce elemento essenziale, in mancanza del quale la scheda
non può assolvere alla finalità prevista dalla legge.
(sentenza della Corte di Cassazione del 19.10.2007, n. 21941)
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L'indigente
che occupa una casa popolare non commette reato
Chi versa
in uno stato di grave indigenza non commette reato se occupa abusivamente
una casa popolare. Opera, in questi casi, la scriminante dello stato
di necessità.
Lo ha
stabilito la seconda sezione penale della Corte di Cassazione
con sentenza n.35580 del 26 settembre 2007.
Il mobbing non
è reato
Il mobbing non è reato ma un illecito civile. Infatti il
lavoratore può soltanto chiedere il risarcimento del danno
o, al massimo, denunciare il capo per maltrattamenti.
Lo ha stabilito la quinta sezione penale della Corte di cassazione
che, con la sentenza n. 33624 del 29 agosto 2007,
ha respinto il ricorso della Procura di Santa Maria Capua Vetere,
presentato contro la sentenza di non luogo a procedere emessa dal
Gup nei confronti di un preside, denunciato da una professoressa
per comportamenti mobbizzanti.
Assenza
dal lavoro per malattia sempre da certificare
Chi manca per un solo giorno dal posto di lavoro deve portare il
certificato medico se il datore glielo chiede. Ciò anche
se la prassi aziendale non prevede nessun obbligo in questo senso.
Altrimenti può essergli decurtata la paga.
Sentenza della corte di Cassazione n. 17898 del 22 agosto
2007.
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APPALTI
e COOPERATIVE EDILIZIE
Cooperative edilizie
responsabili dei lavori appaltati .
Le cooperative edilizie sono responsabili dei lavori che hanno appaltato
a una ditta di
costruzione se hanno partecipato alla realizzazione del progetto.
Tale responsabilità
sussiste anche se manca il fine di lucro nell’assegnazione
delle case ai soci.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che,
con la sentenza n. 16202 del 23 luglio
2007, ha accolto il ricorso di un condominio.
______________________________________________________________________________________________
ASSICURAZIONI
Indennizzo
diretto: pubblicato
in Gazzetta il decreto D. P. R. 18 luglio 2006, n. 254 (G.U. n.
199 del 28-8-2006) Regolamento recante disciplina del risarcimento
diretto dei danni derivanti dalla circolazione stradale, a norma
dell'articolo 150 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209
- Codice delle assicurazioni private.
Entra in vigore il 1 gennaio 2007.
Si applica ai sinistri verificatisi a partire d al 1°
febbraio 2007.
______________________________________________________________________________________________
LAVORO
Un
dipendente che reagisce in maniera violenta in seguito alle continue
provocazioni dei colleghi non va licenziato.
Lo ha stabilito la sezione lavoro della Corte di Cassazione con
la sentenza n.17956. Secondo la Corte la reazione era "conseguenza
del rancore che era venuto accumulandosi a causa del continuo e
irritante scherno".
Corte
di Cassazione sez. Lavoro sentenza del 2.8.2006 n.17956
|
La
Cassazione riconferma che il danno patrimoniale da uccisione di
congiunto può essere liquidato secondo il criterio equitativo
ex artt. 1226 e 2056 c.c.
"Il danno
patrimoniale da uccisione di congiunto, quale tipico danno-conseguenza
che si proietta nel futuro, privo (come il danno morale ed il danno
biologico) del carattere della patrimonialità, ben può,
in ragione nella natura di tale danno e nella funzione di riparazione
assolta mediante la dazione di una somma di denaro nel caso non
reintegratrice di una diminuzione patrimoniale bensì compensativa
di un pregiudizio non economico (v. Cass., 31/05/2003, n. 8827),
essere - come nel caso - liquidato secondo il criterio equitativo
ex artt. 1226 e 2056 c.c. (v. Cass., Sez. Un., 24/03/2006, n. 6572),
in considerazione dell'intensità del vincolo familiare, della
situazione di convivenza e di ogni ulteriore utile circostanza,
quali la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare,
le abitudini di vita, l'età della vittima e dei singoli superstiti,
le esigenze di questi ultimi, rimaste definitivamente compromesse
(v. Cass., 31/05/2003, n. 8828; Cass., 07/11/2003, n. 16716; Cass.,
29/09/2004, n. 19564; Cass., 15/07/2005, n. 15022; Cass., 20/10/2005,
n. 20324)."
Corte di
Cassazione 3 sez. civile sent. 12 giugno 2006, n.13546 |
Disposizioni
in materia di conseguenze derivanti da incidenti stradali
Art. 1.
(Modifiche all’articolo
222 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285)
1. Il comma 2 dell’articolo
222 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, è sostituito
dai seguenti:
«2. Quando dal
fatto derivi una lesione personale colposa la sospensione della
patente è da quindici giorni a tre mesi. Quando dal fatto
derivi una lesione personale colposa grave o gravissima la sospensione
della patente è fino a due anni. Nel caso di omicidio colposo
la sospensione è fino a quattro anni.
2-bis. La sanzione amministrativa
accessoria della sospensione della patente fino a quattro anni è
diminuita fino a un terzo nel caso di applicazione della pena ai
sensi degli articoli 444 e seguenti del codice di procedura penale».
Art. 2.
(Elevazione delle pene
edittali per i reati di omicidio colposo e di lesioni colpose gravi
e gravissime)
1. Il secondo comma
dell’articolo 589 del codice penale è sostituito dal
seguente:
«Se il fatto è
commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione
stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro
la pena è della reclusione da due a cinque anni».
2. Il terzo comma dell’articolo 590 del codice penale è
sostituito dal seguente:
«Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione
delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle
per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni
gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa
da euro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime è
della reclusione da uno a tre anni».
Art. 3.
(Disposizioni processuali)
1. Alle cause relative
al risarcimento dei danni per morte o lesioni, conseguenti ad incidenti
stradali, si applicano le norme processuali di cui al libro II,
titolo IV, capo I del codice di procedura civile.
Art. 4.
(Abbreviazione dei termini
per le indagini preliminari e per la fissazione della
data del giudizio)
1. Dopo il comma 2-bis
dell’articolo 406 del codice di procedura penale è
inserito il seguente:
«2-ter. Qualora
si proceda per i reati di cui agli articoli 589, secondo comma,
e 590, terzo comma, del codice penale, la proroga di cui al comma
1 può essere concessa per non più di una volta».
2. All’articolo 416 del codice di procedura penale è
aggiunto, in fine, il seguente comma:
«2-bis. Qualora si proceda per il reato di cui all’articolo
589, secondo comma, del codice penale, la richiesta di rinvio a
giudizio del pubblico ministero deve essere depositata entro trenta
giorni dalla chiusura delle indagini preliminari».
3. Dopo il comma 3 dell’articolo 429 del codice di procedura
penale è inserito il seguente:
«3-bis. Qualora si proceda per il reato di cui all’articolo
589, secondo comma, del codice penale, il termine di cui al comma
3 non può essere superiore a sessanta giorni».
4. Dopo il comma 1 dell’articolo 552 del codice di procedura
penale sono inseriti i seguenti:
«1-bis. Qualora si proceda per taluni dei reati previsti dall’articolo
590, terzo comma, del codice penale, il decreto di citazione a giudizio
deve essere emesso entro trenta giorni dalla chiusura delle indagini
preliminari.
1-ter. Qualora si proceda
per taluni dei reati previsti dall’articolo 590, terzo comma,
del codice penale, la data di comparizione di cui al comma 1, lettera
d), è fissata non oltre novanta giorni dalla emissione del
decreto».
Art. 5.
(Liquidazione anticipata
di somme in caso di incidenti stradali)
1. All’articolo
24 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, è aggiunto, in fine,
il seguente comma:
«Qualora gli aventi
diritto non si trovino nello stato di bisogno di cui al primo comma,
il giudice civile o penale, su richiesta del danneggiato, sentite
le parti, qualora da un sommario accertamento risultino gravi elementi
di responsabilità a carico del conducente, con ordinanza
immediatamente esecutiva provvede all’assegnazione, a carico
di una o più delle parti civilmente responsabili, di una
provvisionale pari ad una percentuale variabile tra il 30 e il 50
per cento della presumibile entità del risarcimento che sarà
liquidato con sentenza».
Art. 6.
(Obblighi del condannato)
1. Dopo l’articolo
224 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive
modificazioni, è inserito il seguente:
«Art. 224-bis.
- (Obblighi del condannato). – 1. Nel pronunciare sentenza
di condanna alla pena della reclusione per un delitto colposo commesso
con violazione delle norme del presente codice, il giudice può
disporre altresì la sanzione amministrativa accessoria del
lavoro di pubblica utilità consistente nella prestazione
di attività non retribuita in favore della collettività
da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o
presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato.
2. Il lavoro di pubblica
utilità non può essere inferiore a un mese nè
superiore a sei mesi. In caso di recidiva, ai sensi dell’articolo
99, secondo comma, del codice penale, il lavoro di pubblica utilità
non può essere inferiore a tre mesi.
3. Le modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità
sono determinate dal Ministro della giustizia con proprio decreto
d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo
8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
4. L’attività è svolta nell’ambito della
provincia in cui risiede il condannato e comporta la prestazione
di non più di sei ore di lavoro settimanale da svolgere con
modalità e tempi che non pregiudichino le esigenze di lavoro,
di studio, di famiglia e di salute del condannato. Tuttavia, se
il condannato lo richiede, il giudice può ammetterlo a svolgere
il lavoro di pubblica utilità per un tempo superiore alle
sei ore settimanali.
5. La durata giornaliera della prestazione non può comunque
oltrepassare le otto ore.
6. In caso di violazione degli obblighi di cui al presente articolo
si applicano le disposizioni di cui all’articolo 56 del decreto
legislativo 28 agosto 2000, n. 274».
|
CODICE DELLA
STRADA
Il Dlgs 2.2.2006 n.40 (pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale n.38 del 15.2.2006) introduce una novità:
le sentenze del giudice di pace in materia di contravvenzioni
stradali o infrazioni amministrative sono appellabili in tribunale.
Dal 2 marzo 2006 non sarà più
possibile ricorrere direttamente in cassazione contro le sentenze
dei giudici di pace in materia di contravvenzioni stradali o infrazioni
amministrative. |
Modifiche
al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità
delle sentenze di proscioglimento*
(Testo approvato definitivamente il 14 febbraio 2006)
|
Art. 1.
1. L'articolo 593 del codice di procedura penale è sostituito
dal seguente:
«Art. 593. (Casi di appello). - 1. Salvo quanto previsto dagli
articoli 443, comma 3, 448, comma 2, 579 e 680, il pubblico ministero
e l'imputato possono appellare contro le sentenze di condanna.
2. L'imputato e il pubblico ministero possono appellare contro le
sentenze di proscioglimento nelle ipotesi di cui all'articolo 603,
comma 2, se la nuova prova è decisiva. Qualora il giudice,
in via preliminare, non disponga la rinnovazione dell'istruttoria
dibattimentale dichiara con ordinanza l'inammissibilità dell'appello.
Entro quarantacinque giorni dalla notifica del provvedimento le
parti possono proporre ricorso per cassazione anche contro la sentenza
di primo grado.
3. Sono inappellabili le sentenze di condanna per le quali è
stata applicata la sola pena dell'ammenda».
Art. 2.
1. All'articolo 443 del codice di procedura penale, al comma 1,
le parole: «, quando l'appello tende ad ottenere una diversa
formula» sono soppresse.
Art. 3.
1. All'articolo 405 del codice di procedura penale, dopo il comma
1, è inserito il seguente:
«1-bis. Il pubblico ministero, al termine delle indagini,
formula richiesta di
archiviazione quando la Corte di cassazione si è pronunciata
in ordine alla insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ai
sensi dell'articolo 273, e non sono stati acquisiti, successivamente,
ulteriori elementi a carico della persona sottoposta alle indagini».
Art. 4.
1. L'articolo 428 del codice di procedura penale è sostituito
dal seguente:
«Art. 428. - (Impugnazione della sentenza di non luogo a procedere).
- 1. Contro la sentenza di non luogo a procedere possono proporre
ricorso per cassazione:
a) il procuratore della Repubblica e il procuratore generale;
b) l'imputato, salvo che con la sentenza sia stato dichiarato che
il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso.
2. La persona offesa può proporre ricorso per cassazione
nei soli casi di nullità previsti dall'articolo 419, comma
7. La persona offesa costituita parte civile può proporre
ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 606.
3. Sull'impugnazione decide la Corte di cassazione in camera di
consiglio con le forme previste dall'articolo 127».
Art. 5.
1. All'articolo 533 del codice di procedura penale, il comma 1 è
sostituito dal seguente:
«1. Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato
risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni
ragionevole dubbio. Con la sentenza il giudice applica la pena e
le eventuali misure di sicurezza».
Art. 6.
1. Al comma 1 dell'articolo 576 del codice di procedura penale,
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo periodo, le parole: «, con il mezzo previsto per
il pubblico ministero,» sono soppresse;
b) al secondo periodo, le parole: «Con lo stesso mezzo e negli
stessi casi può» sono sostituite dalle seguenti: «La
parte civile può altresì».
Art. 7.
1. L'articolo 580 del codice di procedura penale è sostituito
dal seguente:
«Art. 580. - (Conversione del ricorso in appello). - 1. Quando
contro la stessa sentenza sono proposti mezzi di impugnazione diversi,
nel caso in cui sussista la connessione di cui all'articolo 12,
il ricorso per cassazione si converte nell'appello».
Art. 8.
1. Al comma 1 dell'articolo 606 del codice di procedura penale sono
apportate le seguenti modificazioni:
a) la lettera d) è sostituita dalla seguente:
«d) mancata assunzione di una prova decisiva, quando la parte
ne ha fatto richiesta anche nel corso dell'istruzione dibattimentale
limitatamente ai casi previsti dall'articolo 495, comma 2.»;
b) la lettera e) è sostituita dalla seguente:
«e) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità
della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento
impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati
nei motivi di gravame».
Art. 9.
1. L'articolo 577 del codice di procedura penale è abrogato.
2. All'articolo 36, comma l, del decreto legislativo 28 agosto 2000,
n. 274, le parole: «e contro le sentenze di proscioglimento
per reati puniti con pena alternativa» sono soppresse.
Art. 10.
1. La presente legge si applica ai procedimenti in corso alla data
di entrata in vigore della medesima.
2. L'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dall'imputato
o dal pubblico ministero prima della entrata in vigore della presente
legge viene dichiarato inammissibile con ordinanza non impugnabile.
3. Entro quarantacinque giorni dalla notifica del provvedimento
di inammissibilità di cui al comma 2 può essere proposto
ricorso in Cassazione contro le sentenze di primo grado.
4. La disposizione di cui al comma 2 si applica anche nel caso in
cui sia annullata, su punti diversi dalla pena o dalla misura di
sicurezza, una sentenza di condanna di una corte di assise di appello
o di una corte di appello che abbia riformato una sentenza di assoluzione.
5. Nei limiti delle modificazioni apportate dall'articolo 8 della
presente legge possono essere presentati i motivi di cui all'articolo
585, comma 4, del codice di procedura penale entro trenta giorni
dalla data di entrata in vigore della presente legge.
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* Bozza provvisoria. Testo in attesa di essere pubblicato in Gazzetta
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Patto
di famiglia
Approvato
in via definitiva, dalla commissione Giustizia del Senato in sede
deliberante, il disegno di legge riguardante "Modifiche al
codice civile in materia di patto di famiglia".
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Modifiche al codice civile in
materia di patto di famiglia
Art. 1.
1. Al primo periodo dell’articolo 458 del
codice civile sono premesse le seguenti parole: «Fatto salvo
quanto disposto dagli articoli 768-bis e seguenti,».
Art. 2.
1. Al libro II, titolo IV, del codice civile,
dopo l’articolo 768 è aggiunto il seguente capo:
«Capo V-bis.
DEL PATTO DI FAMIGLIA
Art. 768-bis. - (Nozione). – È patto
di famiglia il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni
in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti
tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto
o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie
trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più
discendenti.
Art. 768-ter. - (Forma). – A pena di nullità
il contratto deve essere concluso per atto pubblico.
Art. 768-quater. - (Partecipazione). – Al contratto devono
partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari
ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell’imprenditore.
Gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni
societarie devono liquidare gli altri partecipanti al contratto,
ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento
di una somma corrispondente al valore delle quote previste dagli
articoli 536 e seguenti; i contraenti possono convenire che la liquidazione,
in tutto o in parte, avvenga in natura.
I beni assegnati con lo stesso contratto agli altri partecipanti
non assegnatari dell’azienda, secondo il valore attribuito
in contratto, sono imputati alle quote di legittima loro spettanti;
l’assegnazione può essere disposta anche con successivo
contratto che sia espressamente dichiarato collegato al primo e
purchè vi intervengano i medesimi soggetti che hanno partecipato
al primo contratto o coloro che li abbiano sostituiti.
Quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione
o a riduzione.
Art. 768-quinquies. - (Vizi del consenso). –
Il patto può essere impugnato dai partecipanti ai sensi degli
articoli 1427 e seguenti.
L’azione si prescrive nel termine di un
anno.
Art. 768-sexies. - (Rapporti con i terzi). –
All’apertura della successione dell’imprenditore, il
coniuge e gli altri legittimari che non abbiano partecipato al contratto
possono chiedere ai beneficiari del contratto stesso il pagamento
della somma prevista dal secondo comma dell’articolo 768-quater,
aumentata degli interessi legali.
L’inosservanza delle disposizioni del primo
comma costituisce motivo di impugnazione ai sensi dell’articolo
768-quinquies.
Art. 768-septies. - (Scioglimento). – Il
contratto può essere sciolto o modificato dalle medesime
persone che hanno concluso il patto di famiglia nei modi seguenti:
1) mediante diverso contratto, con le medesime caratteristiche e
i medesimi presupposti di cui al presente capo;
2) mediante recesso, se espressamente previsto
nel contratto stesso e, necessariamente, attraverso dichiarazione
agli altri contraenti certificata da un notaio.
Art. 768-octies. - (Controversie). – Le
controversie derivanti dalle disposizioni di cui al presente capo
sono devolute preliminarmente a uno degli organismi di conciliazione
previsti dall’articolo 38 del decreto legislativo 17 gennaio
2003, n. 5».
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Famiglia
Disposizioni in materia
di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei
figli |
Testo approvato (bozza provvisoria)
Art. 1.
(Modifiche al codice civile)
1. L’articolo 155 del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 155. - (Provvedimenti riguardo ai figli)
– Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio
minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo
con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi
e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti
di ciascun ramo genitoriale.
Per realizzare la finalità indicata dal primo
comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta
i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse
morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità
che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce
a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità
della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la
misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento,
alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende
atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti
tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole.
La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori.
Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione,
all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo
conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle
aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa
al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione,
il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà
separatamente.
Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei
genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al
proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione
di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità,
da determinare considerando:
1) le attuali esigenze del figlio;
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di
convivenza con entrambi i genitori;
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
4) le risorse economiche di entrambi i genitori;
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun
genitore.
L’assegno è automaticamente adeguato agli
indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal
giudice.
Ove le informazioni di carattere economico fornite dai
genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone
un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto
della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi».
2. Dopo l’articolo 155 del codice civile, come
sostituito dal comma 1 del presente articolo, sono inseriti i seguenti:
«Art. 155-bis. - (Affidamento a un solo genitore e opposizione all’affidamento
condiviso) – Il giudice può disporre l’affidamento
dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato
che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse
del minore.
Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento,
chiedere l’affidamento esclusivo quando sussistono le condizioni
indicate al primo comma. Il giudice, se accoglie la domanda, dispone l’affidamento
esclusivo al genitore istante, facendo salvi, per quanto possibile, i
diritti del minore previsti dal primo comma dell’articolo 155. Se
la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare
il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei
provvedimenti da adottare nell’interesse dei figli, rimanendo ferma
l’applicazione dell’articolo 96 del codice di procedura civile.
Art. 155-ter. - (Revisione delle disposizioni concernenti
l’affidamento dei figli) – I genitori hanno diritto di chiedere
in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento
dei figli, l’attribuzione dell’esercizio della potestà
su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla
modalità del contributo.
Art. 155-quater. – (Assegnazione della casa familiare e prescrizioni
in tema di residenza) – Il godimento della casa familiare è
attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli.
Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti
economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà.
Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario
non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva
more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione
e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo
2643.
Nel caso in cui uno dei coniugi cambi la residenza o
il domicilio, l’altro coniuge può chiedere, se il mutamento
interferisce con le modalità dell’affidamento, la ridefinizione
degli accordi o dei provvedimenti adottati, ivi compresi quelli economici.
Art. 155-quinquies. - (Disposizioni in favore dei figli
maggiorenni) – Il giudice, valutate le circostanze, può disporre
in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento
di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del
giudice, è versato direttamente all’avente diritto.
Ai figli maggiorenni portatori di handicap grave ai
sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n.
104, si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei
figli minori.
Art. 155-sexies. - (Poteri del giudice e ascolto del
minore) – Prima dell’emanazione, anche in via provvisoria,
dei provvedimenti di cui all’articolo 155, il giudice può
assumere, ad istanza di parte o d’ufficio, mezzi di prova. Il giudice
dispone, inoltre, l’audizione del figlio minore che abbia compiuto
gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento.
Qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice,
sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione
dei provvedimenti di cui all’articolo 155 per consentire che i coniugi,
avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo,
con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e
materiale dei figli».
Art. 2.
(Modifiche al codice di procedura civile)
1. Dopo il terzo comma dell’articolo 708 del codice
di procedura civile, è aggiunto il seguente:
«Contro i provvedimenti di cui al terzo comma
si può proporre reclamo con ricorso alla corte d’appello
che si pronuncia in camera di consiglio. Il reclamo deve essere proposto
nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione del provvedimento».
2. Dopo l’articolo 709-bis del codice di procedura civile, è
inserito il seguente:
«Art. 709-ter. - (Soluzione delle controversie e provvedimenti in
caso di inadempienze o violazioni) – Per la soluzione delle controversie
insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della potestà
genitoriale o delle modalità dell’affidamento è competente
il giudice del procedimento in corso. Per i procedimenti di cui all’articolo
710 è competente il tribunale del luogo di residenza del minore.
A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e
adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze o di atti
che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto
svolgimento delle modalità dell’affidamento, può modificare
i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente:
1) ammonire il genitore inadempiente;
2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno
dei genitori, nei confronti del minore;
3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei
confronti dell’altro;
4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa
pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore
della Cassa delle ammende.
I provvedimenti assunti dal giudice del procedimento
sono impugnabili nei modi ordinari».
Art. 3.
(Disposizioni penali)
1. In caso di violazione degli obblighi di natura economica
si applica l’articolo 12-sexies della legge 1º dicembre 1970,
n. 898.
Art. 4.
(Disposizioni finali)
1. Nei casi in cui il decreto di omologa dei patti di
separazione consensuale, la sentenza di separazione giudiziale, di scioglimento,
di annullamento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio sia
già stata emessa alla data di entrata in vigore della presente
legge, ciascuno dei genitori può richiedere, nei modi previsti
dall’articolo 710 del codice di procedura civile o dall’articolo
9 della legge 1º dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni,
l’applicazione delle disposizioni della presente legge.
2. Le disposizioni della presente legge si applicano
anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di
nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi
ai figli di genitori non coniugati.
Art. 5.
(Disposizione finanziaria)
1. Dall’attuazione della presente legge non devono
derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
La fine delle clausole vessatorie
Le clausole favorevoli al contraente battono quelle vessatorie,
nei contratti di assicurazione conclusi con la sottoscrizione di moduli
o formulari prestampati.
Quando in un contratto compaiono clausole dubbie, la prima regola da applicare,
secondo la sentenza n.19140/0205, è quella dell’interpretazione
contro l’autore della clausola (articolo 1370, Codice civile):
La sentenza n.19140/2005 della Corte di Cassazione
recita: ”In tema di contratti conclusi mediante moduli o formulari,
la presenza nel modulo dell’approvazione specifica di una clausola
vessatoria, regolarmente sottoscritta, e nel contempo di una clausola
di richiamo dell’operatività di condizioni particolari, indicate
nel libretto accluso alla polizza (contenente sia le condizioni denominate
generali che quelle denominate particolari), fra le quali ultime vi sia
una clausola derogatoria di esclusione dell’operatività della
previsione della clausola vessatoria compresa fra le condizioni generali,
determina una situazione di contrasto fra due clausole che dà luogo
ad una questione interpretativa che non può essere risolta affermando
che la volontà contrattuale effettiva delle parti è stata
quella di volere l’operatività della clausola vessatoria
e non quella derogatoria di esclusione della sua operatività, per
il fatto che la sua specifica approvazione della prima evidenzia una maggiore
attenzione del contraente debole dell’atto di prestare il consenso,
atteso che siffatto criterio interpretativo non risponde ad alcuno dei
principi dettati per l’interpretazione dei contratti.".
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Sentenza
della Corte Costituzionale sull'infrazione stradale (patente a punti),
n. 27/2005 |